Psicologo uomo o donna: cos’è meglio?

Il processo di scelta di uno psicologo, diciamoci la verità, è un processo lungo. Virtualmente potrebbe essere suddiviso in due macro fasi.

La prima fase del processo di scelta dello psicologo

Potremmo riassumerla in “Perché mai dovrei andare da uno psicologo?” ossia lo scontrarsi con le possibili remore, timori o pregiudizi a cui far fronte nel momento in cui si profila il bisogno di supporto.

In questa fase rientra anche quell’attimo in cui a “mente sgombra” riusciamo a rispondere alla domanda precedente: per prendermi cura di me, per vivere serenamente  il mio giorno per giorno. Per offrirmi la possibilità di un cambiamento di prospettiva dalla quale guardare me stesso e le mie relazioni.

La seconda fase del processo di scelta dello psicologo

È il momento della scelta vera e propria.

Ora che ho deciso di intraprendere un percorso, chi chiamo? In questo mare magnum di psicologi psicoterapeuti e delle loro specializzazioni riuscirò a scegliere la persona adatta per me? Riuscirà ad aiutarmi? Sarà meglio una donna o un uomo?

Dubbi legittimi.

Alla difficoltà di affidarsi ad una persona in fin dei conti sconosciuta, che la prima volta è soltanto un nome all’interno di un elenco con altri nomi possibili, si aggiunge anche uno dei paradossi della scelta. Quando dobbiamo scegliere e abbiamo molte opzioni, queste, anziché essere una risorsa, diventano un elemento che ci blocca durante il processo decisionale: continuiamo a valutare le opzioni all’infinito con il risultato di dilatare il tempo di “non scelta” , permanendo così nella nostra condizione di base.

E noi psicologi, oggettivamente, siamo tanti.

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Gli aspetti rilevanti di cui tener conto al momento della scelta dello psicologo

La terapia è una relazione di collaborazione.

Questa potrebbe essere un’affermazione contro intuitiva se crediamo che spetti esclusivamente allo psicologo risolvere la nostra richiesta, il motivo per cui stiamo soffrendo. In realtà lo risolviamo con lo psicologo.

Mi spiego meglio.

La regina delle qualità di un bravo psicoterapeuta è la costruzione dell’alleanza terapeutica, quell’insieme di attività complesse che il professionista mette in atto e che di rimando ci permettono di sentirci compresi, accolti, di vedere la stanza di psicoterapia come una base sicura da cui poter far ripartire il nostro progetto di vita.

Perché è un’attività complessa?

Il termine alleanza terapeutica lo possiamo vedere come un macro contenitore in cui rientrano molte competenze specifiche.

La capacità di connettersi, di scendere nel personale inferno della persona che abbiamo di fronte a noi, di non negare la sofferenza che c’è dietro la richiesta “Mi aiuti a…. ”  “Vorrei poter….”
Da questa base relazionale solida si costruisce l’accordo sugli obiettivi  ossia il “fare quello che serve”.

Qui rientrano, per quanto riguarda la terapia cognitivo comportamentale, i famosi homework.

Questo orientamento è ingiustamente famoso per l’applicazione “fredda” di protocolli,  come se noi psicoterapeuti cognitivo-comportamentali ritenessimo che le persone siano tutte uguali, fatte con lo stampino. Le cose però non stanno esattamente così.

In realtà il reale accordo sugli obiettivi da raggiungere attraverso l’esercizio degli homework parte dalla comprensione del funzionamento della mente di quella persona:

  • cosa lo muove?
  • cosa lo blocca o gli impedisce di fare quello che desidererebbe per la sua vita?
  • come mai non riesce a risolvere il suo problema anche se lo desidera ardentemente?

Da questa conoscenza si applicano le tecniche specifiche, si modulano l’applicazione dei protocolli e dei compiti a casa, ma soprattutto si concordano gli obiettivi con la persona rendendola parte attiva del processo terapeutico.
La terapia è un lavoro di relazione e in quanto tale bisogna essere in due affinché funzioni. 

Deduzioni conclusive

Date queste premesse possiamo immaginare come il   “Riuscirà a comprendermi anche se è del sesso opposto al mio?” 

 o il “Preferisco una donna o un uomo perché …”  per quanto dubbi legittimi, in realtà raccontino molto di noi stessi, delle nostre resistenze, attribuzioni di significato e dell’ottica di partenza con cui leggiamo il mondo che ci circonda.

Un materiale emotivo da poter portare in quel luogo sicuro che è la stanza di terapia.

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Bibliografia

Emilio Fava e Gruppo Zoe, La competenza a curare: il contributo della ricerca empirica, Mimesis editore, 2016
Kottler J, Carlso J, Essere un eccellente terapeuta, Elsevier Italia, 2016 
Mancini F , Gangemi AIl paradosso nevrotico ovvero la resistenza al cambiamento in Fondamenti di Cognitivismo Clinico, Bollati Boringhieri 2002

Autori
Carla Ciarambino

Carla Ciarambino

Psicologa e Psicoterapeuta, fondatrice dello studio La Mente Accogliente. Osservatrice attenta. Crede che la felicità sia a portata di tutti: alcuni hanno solo bisogno di essere guidati.